QUESTECONOMIA > LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE - Sue conseguenze sull'organizzazione sociale
LA FORBICE TRA REDDITI DA CAPITALE E REDDITI DA LAVORO
Il grafico è tratto da L'ESPRESSO dell' 11/02/2018, su rielaborazione di dati statistici della Banca d'Italia.
Il dato più significativo del grafico è la divergenza verificatasi tra il reddito da capitale ed il reddito da lavoro tra il 1987 ed il 2014, per le sue evidenti implicazioni economiche sulla struttura dell'organizzazione sociale. Mentre il reddito da capitale nei 27 anni considerati è aumentato di circa il 40%, il reddito da lavoro da lavoro è diminuito di circa il 30%.
Come tutti i dati statistici, i risultati vanno interpretati, in quanto basati su medie che non sempre forniscono dati utili sotto il profilo operativo.
L'andamento del reddito da capitale tocca una punta massima nel 2008, anno della crisi, a conferma che la crisi è stata prevalentemente finanziaria. Mancano i dati per il 2015-2017, dove presumibilmente l'andamento può essere stimato crescente. Ciò che il grafico non dice è l'andamento interno del reddito da capitale. Non si distingue ad es. tra reddito di capitale dell'industria, ed all'interno di questo tra piccola impresa e grande impresa, e quello esclusivamente finanziario. Sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo politico è necessario un maggiore ulteriore dettaglio, per mettere a punto strategie operative finalizzate di cui oggi c'è molto bisogno.
Il reddito da lavoro dipendente non cala nel 2007/2008, anni della crisi, ma negli anni 80/90, anni in cui inizia la ristrutturazione tecnologica delle industrie, e comincia a ricalare dal 2010, anni ancora una volta della seconda ristrutturazione tecnologica dell'industria, quella pubblicizzata come Industria 4.0. Questo ci porta a dire che il calo dell'occupazione ed il calo del reddito da lavoro globale è una conseguenza diretta dell'evoluzione tecnologica del sistema produttivo, che porta ad un aumento della quota di plusvalore attribuito al capitale ed ad una diminuzione della quota di plusvalore assegnata al lavoro. Anche se il grafico non ci dice quanto della diminuzione possa imputarsi a maggiore disoccupazione e quanto ad una diminuzione dei salari, ipotesi quest'ultima non vera in assoluto , ma che può divenire plausibile considerando che l'evoluzione tecnologica ha portato ad una dequalificazione della mano d'opera con la scomparsa di molte categorie di lavoratori qualificati e specializzati, sostituiti da manovalanza generica meno retribuita e facilmente sostituibile.
Per chi ha contatti con professionisti, può sembrare anomalo il calo, in assoluto maggiore, del reddito dei professionisti, del 40%. Ancora una volta i dati vanno interpretati: nei dati sono compresi anche i redditi di quella moltitudine di partite IVA che mascherano spesso una situazione di lavoro dipendente a condizioni illegali e vergognose. Come pure sarebbe necessario avere una distinzione tra il reddito dei professionisti con almeno 10 anni di esperienza e quello dei principianti. Anche quila pratica dei tirocini e la spinta verso il lavoro autonomo derivante dalla mancanza di lavoro dipendente, creano situazioni di bassissima remunerazione.
Le statistiche sono utili se servono ad indirizzare provvedimenti operativi nel dettaglio, altrimenti non si esce dall'aforismo di Trilussa.
Non meraviglia poi che i provvedimenti presi dai nostri politici siano generalisti e di scarsa incidenza sul piano pratico, servendo più a consolidare una situazione de quo che a cambiare in meglio le condizioni economiche e sociali.
In altri termini, non basta rigenerare la classe politica, occorre rigenerare anche la classe accademica e manageriale, che troppo spesso effettua analisi e crea strumenti operativi più funzionali ad una conservazione dello staus quo che ad un miglioramento delle condizioni esistenti.